5° Rapporto Agromafie e Caporalato

Fiera di avere contribuito al 5° Rapporto Agromafie e Caporalato della FLAI-CGIL, con un capitolo scritto insieme a Letizia Palumbo su “Le donne migranti in agricoltura: sfruttamento, vulnerabilità, dignità e autonomia”. Il Rapporto descrive le terribili condizioni di lavoro di donne e uomini migranti senza diritti: sono ben 180.000 i lavoratori e le lavoratrici migranti sfruttati/e dalle agromafie in condizioni di semi-schiavitù nelle campagne italiane, e non solo nel sud; infatti Lombardia e Veneto sono le regioni con l’indice più elevato. Le donne migranti sono anch’esse sfruttate in agricoltura. Spesso le donne sono costrette a fare scelte che dipendono anche dalle esigenze di cura. Le serre, per esempio, sono l’unico luogo di lavoro dove le donne migranti possono tenere con sé i figli. In generale, il carico della cura espone le donne  a forme di abuso e di ricatto da parte dei datori di lavoro. Spesso allo sfruttamento lavorativo si aggiunge lo stupro e l’abuso sessuale: nei campi di cipolla della Calabria l’abuso sessuale è così sistematico che solo le donne marocchine più mature accettano quel lavoro; infatti la comunità è consapevole che le più giovani non avrebbero più la possibilità di sposarsi. Il doppio sfruttamento  lavorativo/sessuale è stato registrato come una condizione diffusa; inoltre alcune donne – sovente nigeriane – vengono destinate ad essere sfruttate come prostitute nei campi e nei ghetti. Non sono solo le extracomunitarie a essere soggette a super-sfruttamento; anche le donne rumene sono sfruttate nelle serre del ragusano, e ciò indica che la vulnerabilità delle migranti non dipende esclusivamente dall’irregolarità del soggiorno. Fin dal disegno del loro progetto migratorio le lavoratrici migranti affrontano consapevolmente una prospettiva di lavoro sfruttato e talvolta sono in grado di negoziarne  alcune condizioni, sia pure entro margini ristrettissimi, che comunque non escludono la qualificazione giuridica del comportamento degli sfruttatori come approfittamento di una situazione di necessità. Dunque, da una prospettiva femminista, la conclusione è che la vulnerabilità non esclude né la resilienza né l’autonomia delle lavoratrici migranti, anche quando si trovano in condizioni di semi-schiavitù. La loro dignità come autodeterminazione è un attributo del loro percorso di vita, e non può essere del tutto annullata, nemmeno da sfruttatori e trafficanti. 

Qui il link alla rassegna stampa sulla presentazione del rapporto: https://www.flai.it/primo-piano/5-rapporto-agromafie-e-caporalato/